Sarraj: «Giacimenti e terminali petroliferi non devono cadere in mano all’Isis»

La richiesta ufficiale è arrivatacon una nota scritta dal Consiglio presidenziale del nuovo Governo libico di unità nazionale. «Il consiglio (ndr) invita le Nazioni Unite e la comunità internazionale ad aiutare la Libia a conservare le sue risorse (petrolifere, ndr). Basandosi sui rapporti della Noc (la compagnia petrolifera di Stato) e dei servizi di sicurezza, il governo del neo premier Fayez Sarraj ha parlato di «probabili attacchi terroristici contro alcuni siti petroliferi offshore per far fallire il progetto di riconciliazione nazionale». Il Consiglio di presidenza – ha poi proseguito la nota – invita i paesi africani ed europei vicini «a rafforzare la cooperazione con le autorità libiche ed intensificare i controlli alle frontiere». Entrando più nello specifico, la nota ha accennato all’«esistenza di un coordinamento tra seguaci dell’ex regime (i gheddafiani, ndr) e gruppi ribelli africani come il gruppo “giustizia e uguaglianza” (gruppo attivo nella regione del Darfur, nel Sudan occidentale, ndr) per attaccare installazioni petrolifere libiche». Da alcuni giorni i miliziani dell’Isis hanno portato avanti una serie di attacchi contro diverse installazioni e posti di blocco nella mezzaluna petrolifera, l’area dove si trovano i terminal più importanti. Avvicinandosi pericolosamente all’importante terminal di Brega, a tre ore di auto da Bengasi. Da diversi mesi la produzione petrolifera della Libia galleggia intorno ai 350-400mila barili al giorni, meno di un quarto rispetto ai volumi del periodo precedente la rivoluzione. Perdere altro greggio, con i prezzi internazionali crollati, sarebbe quasi la fine per un Governo che punta a controllare il territorio del Paese e a rimettere in sesto le istituzioni, creando un nuovo esercito. I giacimenti da proteggere non sarebbero tuttavia quelli controllati dalla compagnia energetica italiana Eni, situati quasi tutti in Tripolitania. Ma in gioco non ci sono solo i pozzi petroliferi.Il Consiglio di presidenza è stato chiaro: la guerra all’Isis, il flusso di foreign fighters e l’emergenza immigrazione sono problemi che non riguardano solo la Libia ma tutta la comunità internazionale. In teoria per avere piena legittimazione il Governo di unità nazionale necessiterebbe della fiducia del Parlamento di Tobruk. Ma il generico appello di ieri potrebbe preludere a una futura richiesta di un intervento militare internazionale per difendere le installazioni petrolifere e contenere la minaccia dell’espansione dell’Isis in Libia, già incalzato dall’offensiva del generale Khalifa Haftar scattata negli ultimi giorni. Il generale sostenuto dall’Egitto starebbe preparando una nuova operazione per riconquistare Sirte, divenuta l’anno scorso la roccaforte dello Stato islamico in Libia. Le foto diffuse domenica, in cui erano ritratti centinaia di blindati e veicoli da trasporto nel porto di Tobruk, suggeriscono un probabile allargamento delle operazioni di Haftar contro l’Isis. Ma resta un interrogativo; da dove sono arrivate tutte queste armi? E chi le ha fatte passare considerando che in Libia è ancora in vigore un embargo internazionale? I sospetti di diversi osservatori cadono sull’Egitto e sugli Emirati arabi. Il presidente Abdel Fattah Al-Sisi non ha mai nascosto le sue amichevoli relazioni con il generale Haftar. Da anni lo sostiene politicamente, finanziariamente e, per quanto non vi siano conferme ufficiali, anche militarmente. I mezzi arrivati a Tobruk sarebbero blindati Toyota Hilux e blindo da combattimento Panthera T6, entrambi prodotti da due aziende specializzate di Duba e su licenza, anche, da un’azienda egiziana. Diversi Governi europei sono preoccupati dell’espansione dell’Isis in Libia e starebbero valutando altre opzioni. Secondo il Daily Mail, i commando britannici «si preparano a lanciare un attacco contro l’Isis a Sirte. Le forze speciali del Regno Unito – ha scritto il quotidiano inglese – si uniranno a quelle francesi e americane». Probabile che, se si verificasse questo scenario, decidano di agire congiuntamente con il generale Haftar. D’altronde è lui il militare che ha conseguito i più importanti successi militari contro l’Isis. Anche perchè, al di là della marina e dell’appoggio di alcune milizie, il Governo di unità nzionale un esercito ancora non ce l’ha. Certo il premier Sarraj sta rapidamente consolidando il potere a Tripoli.

Ieri le autorità del nuovo esecutivo hanno preso il controllo del ministero degli Esteri a Tripoli. Si tratta del quinto ministero controllato dall’Esecutivo dopo quello dei Trasporti, degli Affari Sociali, dell’Ambiente e della Gioventù e dello Sport. Ma la strada è ancora lunga. Mentre la minaccia dell’Isis richiede di essere contenuta in tempi brevi. Prima che sia troppo tardi.