A Bengasi rabbia contro gli italiani dopo un’intervista alla Pinotti

Erano un centinaio, in piazza el-Kish, una brutta e vasta rotonda di Bengasi. Hanno bruciato una bandiera italiana. La fotografia è stata messa su Twitter da Claudia Gazzini, analista dell’International Crisis Group, ieri, ma risale a lunedì. È stata scattata da un testimone libico. I partecipanti alla protesta, spiega Gazzini, erano sostenitori del generale Khalifa Haftar e «federalisti», in questo momento uniti dall’opposizione al governo di Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale e guidato da Fayez al-Sarraj.  

La bandiera sarebbe stata bruciata in reazione all’intervista rilasciata a «La Stampa» dal ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, e, come spiega Gazzini, in particolare da una sua frase ingigantita dalla propagazione su alcuni social media arabi, arrabbiati: L’Italia «è pronta ad aiutare il governo di accordo nazionale a stabilizzare il Paese, a partire da un’operazione per garantire la sicurezza della missione Onu a Tripoli. A rivelarlo è il ministro della Difesa Roberta Pinotti, che lancia anche un avvertimento al generale Haftar: “Siamo contenti se combatte l’Isis, ma ora si chiede che tutti gli sforzi puntino a sostenere il nuovo governo”».  

Il ministro Pinotti è tornato a parlare di Libia ieri, alla trasmissione Porta a Porta. Ha detto di non sottovalutare «quel che sta avvenendo. Io sono contraria a una divisione della Libia».  

Eppure, l’immagine della bandiera italiana bruciata a Bengasi, a meno di due settimane dalla visita del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a Tripoli, racconta una Libia spaccata, nonostante l’insediamento nella capitale di un governo riconosciuto a livello internazionale ma non approvato dal Parlamento di Tobruk.  

Il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Egitto ed Emirati arabi, che punta a un ruolo chiave nel futuro militare e politico della Libia, resta tra i principali elementi di divisione. Non accetta, assieme a un importante parte della politica dell’est libico e dell’esercito, l’autorità riconosciuta a Sarraj dall’appoggio internazionale. E cerca una legittimazione attraverso l’azione militare. Dopo aver combattuto per diversi giorni e con alcuni successi le forze estremiste nella cittadina di Bengasi, l’esercito sarebbe in attesa di ordini per muoversi ora su Sirte, roccaforte dello Stato islamico in Libia, ha scritto il sito al-Wasat.  

Anche sulla corsa alla liberazione della città natale di Muammar Gheddafi la Libia è divisa. Se i blindati dell’esercito dell’est sarebbero già in marcia verso ovest, anche Misurata, le cui milizie in gran parte appoggiano oggi Sarraj, avrebbero mosso i primi passi verso la cittadina, quasi in una gara contro il tempo e contro Haftar. Il generale però punta per ora verso Ajdabiya – sulla via dell’ovest – nel cuore petrolifero della Cirenaica, zona di installazioni energetiche e terminal di primaria importanza ma nelle mani delle Guardie petrolifere. Il loro leader, Ibrahim Jadran, è una figura fortemente anti-Haftar che ha deciso di sostenere il nuovo corso di Tripoli. Lo scontro sembra inevitabile: gli uomini di Jadran accusano Haftar di avere come obiettivo non tanto Sirte quanto i pozzi petroliferi. Solo due giorni fa, infatti, le autorità dell’est hanno tentato di esportare vero Malta in favore di una compagnia degli Emirati, che sostengono il governo di Tobruk, 650 mila barili di petrolio a bordo di una petroliera, poi bloccata dai maltesi a largo delle loro coste.