La città sostiene Al Sarraj ed è minacciata dall’Isis: viviamo in stato d’emergenza Ma si prepara a fermare le mosse del generale Haftar: “Vuole i nostri pozzi”

 

Il tour era diviso in quattro tappe: Tripoli-al Khums (120 km), al-Khums-Misurata (100 km), Misurata-Zlinten (95 km), Zlinten-Tripoli (125 km). Dal primo al 4 maggio, ciclisti di club di tutta la Libia – Tripoli, Bengasi, Zwara, Zawiyya, Gheriane… – hanno partecipato ad al-Muttaheda Cycling Tour, in arabo il Tour dell’Unità. Il fascicolo patinato della gara è ancora sui tavoli polverosi del comune di Misurata, tra le città protagoniste della competizione. Racconta un’altra Libia, non quella della frammentazione militare, della spaccatura geografica e politica tra Tripoli, all’Ovest, e Tobruk, all’Est. La città, simbolo della potenza d’armi del Paese, sta nel mezzo, lungo la costa, spartiacque di un conflitto all’interno del quale si inseriscono invadenti e pervasive bolle di combattenti dello Stato islamico.

Sotto assedio

Misurata è il fronte più avanzato di una guerra destinata a definire gli equilibri del Paese, e che si combatte a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste. È una città in stato d’emergenza, anche se non lo fa vedere. «È una guerra globale, non è soltanto per noi», ci dice il generale Mohammed al-Gharsi, che sabato ha annunciato la formazione di un «Comando unificato» per la lotta allo Stato islamico nella regione tra Sirte e Misurata. Seduto in quello che è il quartier generale amministrativo di questo nuovo strumento del Consiglio presidenziale del premier di Tripoli, Fayez al-Sarraj – è da lui che i militari ricevono gli ordini – non nasconde di «temere» che, come accaduto nei giorni scorsi a Est di Misurata, lo Stato islamico possa «mettere mine dietro le nostre linee, circondandoci», o fare attacchi con autobomba in città. Isis giovedì ha conquistato il villaggio di Abu Grein, 120 km a Est di Misurata. «Inshallah», se Dio vuole, risponde quando gli si chiede se i misuratini siano abbastanza forti da affrontare Isis da soli: «Ci sono due vie: o Daesh entra a Misurata, o Misurata entra a Sirte», la roccaforte dello Stato islamico che il generale chiama con il suo acronimo arabo. Il coordinamento con Sarraj e i suoi uomini è continuo, e non mancano le comunicazioni «con i partner internazionali», dice. Posti di blocco e mitra In città, ci sono posti di blocco mobili, soprattutto la notte, racconta il giovane colonnello Mohammed Abu Dabbous, tra i portavoce del Comando. La mobilitazione è discreta, a parte per i pi mitragliatrici. La via per il fronte è bloccata ai civili. La paura per Misurata, che porta ancora evidentinei palazzi crivellati di colpi i segni dell’assedio delle forze gheddafiane nel 2011, non manca, ammette Dabbous, che sull’avambraccio ha il simbolo dello Stato maggiore dell’esercito libico. Un altro esercito, quello legato a Tripoli, e non all’Est di Tobruk, dove altre truppe guidate dal generale Khalifa Haftar e sostenute da Emirati ed Egitto utilizzano lo stesso aggettivo, «libico ». E minacciano di muovere su Sirte. La corsa contro Isis – mossa che potrebbe dare a qualsiasi ck-up su cui sono montate le vincitore un potere negoziale maggiore in casa e all’estero – spacca una nazione già frammentata. Haftar, fermo 400 km a Sud di Sirte, è stato accusato dalle Guardie petrolifere di Ibrahim Jadhran, nella Cirenaica, di puntare non agli estremisti ma ai pozzi di petrolio e ieri ha rifiutato un incontro «chiesto» dall’inviato Onu Martin Kobler. Il comando unificato non è affare soltanto di Misurata. Il suo leader, il generale Bashir al-Qadi, un omone di poche parole, è della città. Il numero due, Salam Jaha, è uomo di Bengasi trapiantato a Misurata. Il numero tre è di Khums, a pochi chilometri dalla città; il numero tre di Zlintan, sulla strada per Tripoli; il numero quattro di Jufra, nel Sud. È questo ufficiale ad assistere il fronte. «Non siamo ancora pronti ad attaccare », dice il generale al-Gharsi, benché le sue truppe soltanto pochi giorni fa abbiano subito uno scacco importante da parte dello Stato islamico, con la perdita di Abu Grein e altri sei villaggi della zona, così vicini alle porte della città: «Ci prepariamo perché questo è un nemico feroce ». Ed è mobile.

Dentro le carceri

La base dell’Accademia dell’Aviazionedi Misurata si estende su 90 ettari, dove tra gli eucalipti sorgono brutte palazzine scrostate, di quell’architettura libica che il regime di Gheddafi ha sparpagliato nel Paese tra gli Anni 70 e 80. Per entrare nella prigione dell’Accademia, dove sono detenuti alcuni sospetti membri dello Stato islamico, si attraversano due cancelli  di metallo, le mura spesse color della sabbia sono interrotte da 16 torrette di guardia. Spiega il capitano della polizia Kamal Zubi, un 24enne a capo della direzione del carcere, che nei mesi scorsi sono stati arrestati libici e stranieri – siriani, sudanesi, tunisini… – sospettati di appartenere a Isis: alcuni in città, altri al fronte, altri in arrivo dal mare. La maggior parte sono spediti alla prigione di un altro aeroporto, quello di Mitiga, a Tripoli, attaccata pochi mesi fa proprio da un commando degli estremisti, intenzionati a liberare i propri compagni d’armi. Tra le basse palazzine quadrate, alcuni detenuti in tuta azzurra pregano in un container-moschea. Non quelli sospettati o accusati d’essere dello Stato islamico: loro sono rinchiusi in un’ala speciale, dietro pesanti porte di metallo grigio.