Pubblicato su Italiani di Libia 1-2020

From the halls of Montezuma to the shores of Tripoli” (“Dai saloni di Montezuma alle spiagge di Tripoli”) è l’incipit dell’inno ufficiale del corpo dei marines, il più antico delle forze armate statunitensi.

Sebbene fossi a conoscenza della lapide commemorativa posta a sciara Sciat – sul luogo del presunto sbarco dei marines in Libia – mi incuriosiva quell’accenno canoro agli arenili tripolini. Svolta qualche ricerca, risalii al 1803 e a una fregata americana di nome “Philadelphia”, durante le guerre barbaresche nelle quali l’America vantava orgogliosamente la superiorità della sua flotta contro le potenze costiere del Nordafrica (il Sultanato del Marocco e le reggenze di Algeri, Tunisi e Tripoli, all’epoca vere e proprie entità statali autonome) che con il loro naviglio corsaro spadroneggiavano nel Mediterraneo.

 

La strategia dei corsari

I corsari africani erano in grado di giungere persino nelle immediate vicinanze di  Napoli e più su: Porto Ercole fu distrutta, le isole del Giglio, di Lipari e di Ischia saccheggiate. Per scongiurare il pericolo di attacchi, il governo statunitense aveva inizialmente deciso di pagare il tributo richiesto dai vari pascià, affinché questi consentissero il passaggio delle loro navi mercantili senza rischi. Dopo la sua nomina, il presidente Thomas Jefferson si rifiutò invece di onorare l’impegno preso dal suo predecessore, scatenando un’escalation culminata con l’assalto del consolato americano di Tripoli da parte dei libici, i quali bruciarono la bandiera in segno di protesta, segnando di fatto l’inizio della cosiddetta prima guerra di Barbaria.

Jefferson predispose una squadra navale per difendere i mercantili americani, ma non riuscì ad aggirare l’astuta strategia corsara che preferiva evitare gli scontri frontali ma continuava a depredare le navi statunitensi attraverso frequenti attacchi “mordi e fuggi”.

Per arginare il fenomeno fu inviata nel Mediterraneo la fregata pesante “USS Philadelphia”, agli ordini del commodoro Bainbridge, assieme ad altre cinque unità, con l’intento di bloccare il porto di Tripoli, allora sotto il comando di Yussef Caramanli.

L'incendio della USS Philadelphia

La città resistette però ad ogni assalto e la Philadelfia fu addirittura catturata, anche se le fonti divergono sulle modalità: secondo i libici essa fu sorpresa durante uno dei suoi  pattugliamenti e catturata dal comandante Murat Reis, il 31 ottobre 1803, nel corso di un feroce combattimento e dopo esser stata spinta verso una barriera corallina;  per gli americani, al contrario, la perdita della fregata fu dovuta ad una errata manovra che la fece arenare, facilitando l’arrembaggio degli sciabecchi di Murat.

 

La perdita della Philadelphia

Bainbridge e i trecento uomini di equipaggio furono imprigionati e condotti al “castello rosso”, mentre la Philadephia venne rimorchiata e utilizzata per difendere la città con i suoi trentasei poderosi cannoni. L’episodio fu un duro colpo per la fama della blasonata marina americana e indusse la veemente risposta del presidente Jefferson che, nel 1805, inviò a Tripoli William Eaton, ex ufficiale dell’esercito ed ex console di Tunisi, noto per la sua spregiudicata diplomazia.

La distruzione dell'Intrepid

Ben presto Eaton tramutò le parole in un’efficace “operazione militare combinata”, avvalendosi dell’aiuto di pochi marines e di cinquecento mercenari musulmani, che riuscirono, il 27 aprile 1805, a conquistare Derna col supporto via mare da Isaac Hull, capitano della “USS Argus”. Proprio quell’impresa, che doveva portare Eaton a Tripoli, ispirò l’inno dei marines mentre le famose parole “sulle rive di Tripoli” commemorano il primo sbarco del corpo statunitense in terra straniera.

La minaccia portata da Eaton alla città libica fu uno stimolo sufficiente affinché si negoziasse la pace, nel giugno 1805: Tobias Lear e il Commodoro John Rodgers trattarono con il Pascià di Tripoli il rilascio di Bainbridge e dei suoi marinai, dietro un modesto compenso.

La Philadelphia, diventata una potente arma nelle mani dei libici, era stata invece incendiata qualche mese prima, con un’audace raid notturno: un gruppo scelto di marines, guidati dal tenente Stephen Decatur, assieme ad alcuni mercenari locali travestiti da pescatori maltesi, riuscirono a penetrare nel porto di Tripoli, a bordo di uno sciabecco sottratto ai corsari e ribattezzato “Intrepid”, e a portare a termine l’impresa che il famoso ammiraglio Horatio Nelson, non esitò a definire “l’atto più pazzo e audace dell’epoca”.

Il successo di Decatur, assurto ad eroe nazionale per l’azione tripolina, fu però di breve durata. Accettato il comando della fregata ammiraglia della flotta USA “President”, durante la guerra contro l’Inghilterra fu sconfitto, ferito e imprigionato alle Bahamas. Liberato, morirà a 41 anni in un duello con un ufficiale rivale.

 

La lapide dei marines nel cimitero di Hammangi

La sorte dell’“Intrepid” non fu migliore: l’8 settembre 1804 il capitano Richard Sommers condusse nuovamente lo sciabecco nel porto di Tripoli, imbottito di dinamite al fine di distruggere la flotta nemica ancorata nella rada, ma i tripolini lo fecero saltare con una precisa cannonata, uccidendo Sommers e diversi marines che oggi riposano nel cimitero di Hammangi.  Dopo la morte di Gheddafi, nel corso della prima visita ufficiale Usa in Libia, l’allora Segretario della Difera Leon Panetta depositò una gerba di fiori sulla lapide per ricordare il loro sacrificio.

L'albero maestro della Philadelphia

L’albero maestro della USS Philadelphia venne, invece, issato come trofeo dai tripolini sul più alto degli spalti del castello rosso, dove si trova ancora oggi, muto testimone di giorni gloriosi della Tripoli corsara e ignorata reliquia di una storia pressoché sconosciuta agli stessi libici. Quanto ai tripolini, solitamente passano sotto le mura del castello confondendo l’albero della fregata americana con un semplice pennone per bandiere.

 

Gianfranco Catania