La Russia studia Haftar e rivendica un ruolo anche nel Mediterraneo per opporsi ai piani di Washington e influenzare l’Occidente

Vladimir Putin apre un nuovo round del suo Risiko contro la Nato e gli Usa e il «niet» della Russia arriva puntuale anche per la Libia: «I raid americani contro le postazioni dell’Isis in Libia sono illegali perché per compierli serve una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu », obietta l’ambasciatore russo in Libia, Ivan Molotkov. Il ministero degli Esteri di Mosca ricorda poi che la Russia «è sempre stata favorevole ad azioni decise per eliminare l’Isis e altri gruppi terroristici, con uno stretto coordinamento degli sforzi di tutti gli Stati». Come spesso capita, il Cremlino fa capire quello che vuole molto più esplicitamente di quanto possa sembrare. Il messaggio a Obama è quello di non osare un’operazione che non tenga conto della Russia. Lo stesso messaggio era stato mandato da Mosca all’inizio della crisi siriana, dove per farsi rispettare Vladimir Putin è statocostretto a lanciare una operazione militare su larga scala. La Libia è un dossier diverso per il Cremlino, anche perché non c’è l’equivalente di Bashar al-Assad, alleato di lunga data. Dopo la caduta di Gheddafi i russi non hanno un loro uomo da difendere a Tripoli, anche se stanno prendendo le misure del generale Khalifa Haftar, che di recente ha ricevuto una buona accoglienza a Mosca. Né ci sono particolari interessi economici, a parte eventuali forniture di armi. Ma nel risiko globale al quale sta giocando Putin la Libia è interessante non in quanto tale, ma come tassello fondamentale per sfidare gli Stati Uniti, unico avversario strategico che prende in considerazione, e influenzare l’Europa che teme l’implosione di un Paese troppo vicino. Da cui l’immediato monito a Washington a non entrare in azione senza passare dall’Onu, in altre parole senza consultare i russi. La Libia per i russi è un argomento sensibile: l’intervento del 2011 fu possibile perché la Russia – guidata all’epoca da Dmitry Medvedev – per la prima volta in un decennio non ricorse al veto per bloccare un intervento straniero armato, astenendosi. Le immagini dell’atroce morte di Gheddafi furono uno shock per Putin, e chi lo conosce sostiene che la prese come la dimostrazione finale della fine che gli americani volevano far fare agli autocrati a loro sgraditi. La decisione di permettere all’Occidente di intervenire in Libia fu probabilmente uno degli atti che costò a Medvedev la presidenza: un anno dopo Putin decise di riprendersi il Cremlino, togliendolo al «delfino» con il quale Obama e Hillary avevano tentato il famoso «reset». E la Libia figura da allora, accanto alla Serbia, nella propaganda come esempio dello strapotere americano al quale la Russia si deve opporre. «Gli americani si com- portano in Medio Oriente come un elefante nella cristalleria, pur di affermare il loro dominio », ha detto il ministro degli Esteri Serghey Lavrov, mentre commentatori come Vyacheslav Matuzov, presidente dell’Associazione di amicizia con i Paesi arabi, è ancora più esplicito «Gli Usa vogliono insediare in Libia un governo di loro alleati, pieno di islamisti», nell’ambito del piano di «distruggere il mondo arabo». Una visione probabilmente condivisa da molti consiglieri di Putin. Non a caso due settimane fa Haftar ha avuto a Mosca incontri ad alto livello, facilitati dal fatto che aveva studiato in Unione Sovietica insieme agli ufficiali dell’ex Armata Rossa. Non è un uomo dei russi, ma potrebbe diventarlo,se non altro perché non è l’uomo degli americani, e inoltre è legato all’Egitto di Al Sisi emerso negli ultimi mesi come il grande alleato del Cremlino  nella regione. Chi andrà al governo il Libia però è relativamente irrilevante rispetto alle opportunità che questa crisi può aprire per la Russia, che infatti rivendica in ruolo nella partita.Dopo la Brexit e il golpe fallito contro Erdogan, due crisi che hanno aperto falle nel fronte della Nato e dell’Ue, favorendo l’offensiva globale putiniana, la Libia potrebbe diventare cruciale per sfidare gli Stati Uniti in uno scacchiere dove finora non avevano tenuto conto dei russi. E soprattutto «giocare sulle differenze tra europei e americani», suggerisce Matuzov. Scommettendo in particolare sull’Italia, che molti a Mosca considerano «l’anello debole » del fronte anti-russo nella Nato e nell’Ue.