Fayez Serraj: «Non servono truppe straniere. Vediamo con grande favore la vostra scelta di concedere Sigonella. L‘Isis utilizzerà ogni mezzo per inviare militanti in Europa»
«La nostra Libia ha bisogno dell’aiuto internazionale nella battaglia contro l’Isis. L’Italia è tradizionalmente il nostro Paese amico, potete fare tanto». È il messaggio che ha lanciato da Tripoli il premier del governo di unità nazionale Fayez Serraj. Lo abbiamo incontrato per oltre 50 minuti ieri sera nel suo ufficio nel porto militare della capitale. «Ho scelto di parlare con voi anche perché mi ricordate la mia infanzia: mio padre quando ero piccolo leggeva il Corriere della Sera. Ma soprattutto questo è un momento importante per comunicare con l’Italia», ci ha detto.
Come mai si è deciso di chiedere l’intervento militare Usa contro l’Isis a Sirte?
«I nostri soldati avevano ottenuto grandi successi negli ultimi periodi contro gli uomini del Califfato. Erano avanzati per centinaia di chilometri. Ma l’Isis ricorre adesso a tattiche nuove nella difficile guerra urbana per le strade di Sirte. Sono infidi, pericolosi. Per evitare ulteriori perdite tra la popolazione civile locale e i nostri soldati abbiamo quindi deciso di chiedere aiuto alla alleanza internazionale impegnata contro l’Isis in Siria, in Iraq e qui in Libia. Le nostre truppe necessitano di armi più sofisticate per combattere la guerriglia urbana. Le richieste agli Stati Uniti sono venute dai nostri comandi impegnati sul campo. Comunque i nostri uomini possono fare da soli una volta ottenuto la copertura dall’aria. Ho chiesto solo l’intervento con attacchi aerei Usa che devono essere molto chirurgici e limitati nel tempo e nelle zone geografiche, sempre coordinati con noi. Non ci servono truppe straniere sul suolo della Libia».
Ha chiesto aiuto anche all’Italia?
«Sin dall’inizio il vostro esecutivo ha sostenuto il nostro governo di unità nazionale. All’Italia chiediamo qualsiasi aiuto possa darci. L’Isis è un nemico difficile, infido, pericoloso per il nostro Paese, ma anche per l’Italia, l’Europa e il mondo intero».
Ma avete chiesto all’Italia un aiuto specificamente militare?
«L’Italia è parte dell’alleanza internazionale guidata dagli Usa contro l’Isis e sta ai comandi dell’alleanza decidere come cooperare militarmente. Ma all’Italia noi chiediamo di trattare e curare nei suoi ospedali i nostri feriti di guerra. Vorremmo più cooperazione in questo senso. Gli aiuti medici e i visti per il trasferimento dei nostri feriti sul vostro territorio dovrebbero essere più rapidi. Abbiamo anche richiesto alcuni ospedali da campo che sarebbero molto utili per trattare in tempo utile i nostri feriti gravi sulle prime linee. Inoltre, abbiamo già ottenuto dall’Italia partite di visori notturni e giubbotti anti-proiettili che servono per salvare la vita ai nostri uomini. Ma non bastano. Necessitiamo di altri invii e altri aiuti».
Potrebbe essere ancora più specifico?
«Vediamo con grande favore la scelta italiana di permettere agli aerei Usa di utilizzare la base di Sigonella. I contribuiti italiani in ogni caso sono sostanzialmente di carattere umanitario. Contribuiscono a risparmiare la perdita di vite umane».
Tra quanto tempo prevede la sconfitta dell’Isis a Sirte?
«Non credo ci vorrà troppo tempo. Probabilmente non mesi, solo poche settimane».
L’Italia sostiene il suo governo a Tripoli. Ma non c’è ancora stato il voto del parlamento di Tobruk che legittimi la formula dell’unità nazionale. Crede che, una volta sconfitto l’Isis, potrete negoziare più facilmente la cooperazione del generale Khalifa Haftar, che è il vero uomo forte di Tobruk?
«Il nostro dialogo con il generale Haftar non è mai cessato. Come norma di principio, i comandi militari devono però obbedire ai politici di un Paese. Non può esistere uno Stato con due eserciti. Anche in Libia deve imporsi una sola catena di comando militare che risponde all’ombrello civile dell’autorità politica. Noi speriamo fermamente che il nostro Paese si adatti a questi principi: è il modo più efficiente per combattere l’Isis, stabilizzare la Libia e cooperare con la comunità internazionale. Secondo l’accordo raggiunto l’anno scorso in Marocco, il parlamento di Tobruk deve votare la mozione riguardante il mio governo di unità nazionale. Sino ad oggi tuttavia i suoi esponenti sono divisi. Sappiamo che 103 deputati sostengono il nostro governo. Ma non riescono a mettersi d’accordo per il voto finale. Noi siamo pronti a rispettare le loro decisioni. Nel frattempo però noi non possiamo attendere. Il Paese è in grave crisi, le sfide sono immense, la destabilizzazione cresce. Per questo abbiamo deciso di agire per il bene di tutti e permettere al nostro gabinetto di agire e operare, almeno su base temporanea. Dobbiamo assumerci le nostre possibilità, non possiamo restare nel vuoto di potere, i libici hanno bisogno di un’autorità pubblica funzionante».
Esiste il rischio che l’Isis in Libia utilizzi le barche dei migranti per mandare i suoi militanti in Europa?
«L’Isis è un’organizzazione pericolosissima. Utilizzerà qualsiasi mezzo per inviare i suoi militanti in Italia e in Europa. Non sarei affatto sorpreso di scoprire che i suoi uomini si nascondono sui barconi diretti verso le vostre coste. Dobbiamo affrontare insieme questo problema. L’Isis ci minaccia tutti allo stesso modo».
Ha idea come Italia e Libia possono lavorare assieme per controllare le barche dei migranti e i commerci degli scafisti?
«Italia e Libia lavorano assieme sulla base dei principi dell’operazione Sofia. Il tema è complicatissimo. Ha due aspetti: umanitario e relativo alla sicurezza. A me per personalmente spiace che le nostre coste, invece di essere visitate dai turisti europei, siano gremite di migranti e occasionalmente sulla spiaggia si trovino i cadaveri gettati dal mare di quelli che non ce l’hanno fatta ad approdare in Italia. Per quanto concerne la sicurezza, noi libici dobbiamo mettere sotto controllo i nostri immensi confini meridionali. Non abbiamo ancora le forze per farlo. Sono migliaia di chilometri in pieno deserto. Non sappiamo come fare contro le organizzazioni criminali internazionali che gestiscono il traffico di esseri umani. Sono potenti e ricche. Ma il mondo intero deve cercare di intervenire anche nei Paesi di origine dei migranti, aiutare a ricostruire le loro economie, i loro governi, per fermare le ragioni prime dell’esodo. Per quanto riguarda il Mediterraneo, occorre maggior cooperazione con la marina militare italiana. Con il governo di Roma dobbiamo trovare il modo per rimandare i migranti nei loro Paesi di origine».
La stampa russa accenna nelle ultime ore a un suo possibile viaggio a Mosca. Cosa si attende dai suoi colloqui con il presidente Putin?
«Il nostro governo ha buone relazioni con Mosca. Ho appena visto il loro ambasciatore. Potrei andare in Russia prossimamente. Noi cerchiamo un buon rapporto con tutti i Paesi che sono interessati alla nostra regione».