Dentro i nascondigli dei miliziani nella città libica trovati file con «riferimenti a elementi che agiscono nel Milanese». Gli slogan sui muri: «Da qui approderemo a Roma»

Nei progetti del Califfato l’invasione dell’Italia, e quindi dell’Europa «cristiana decadente», avrebbe dovuto cominciare proprio dalla sua capitale libica. Sirte sarebbe stato il centro di smistamento e lancio delle azioni. In parte l’operazione è già cominciata con l’invio di decine, se non centinaia, di militanti partiti in modo legale, ma soprattutto infiltrati tra le masse di disperati a bordo dei barconi del traffico illegale di migranti. «Stiamo trovando nuove prove dei piani di Isis. Sono documenti che stiamo cominciando a decifrare. Molti arrivano in pile di quaderni scritti a mano, fogli volanti, taccuini in parte rovinati dagli incendi, scompigliati dalle esplosioni e dalla furia della battaglia di Sirte. Pure, si tratta di testimonianze fondamentali. Raccontano della catena di comando di Isis da Raqqa, le province siriane e quelle irachene, sino alla Libia. Ci spiegano il ruolo del saudita Abu Amer al Jazrawi, il responsabile militare dei jihadisti di Sirte e quello di Hassan al Karami, il leader religioso originario di Bengasi. Dobbiamo anche capire se si trovano documenti relativi alle colonne in Europa, ai loro contatti e referenti. Già ne abbiamo alcuni. Dovrebbero interessare alla polizia italiana. Abbiamo infatti individuato numerosi riferimenti al vostro Paese, soprattutto su elementi libici, tunisini e sudanesi che agiscono nel Milanese», sostengono nel quartier generale del Mukhabbarat, come nel mondo arabo chiamano i servizi segreti, libico a Tripoli.

Qui, circa un mese fa, lo stesso capo dei servizi, Mustafa Nuah, ci aveva parlato a lungo della necessità di una molto più stretta cooperazione con i corrispettivi italiani. E per provarlo ci aveva fatto incontrare in carcere il trentenne Mahmud Ibrahim, che avrebbe dovuto farsi esplodere negli uffici del premier libico Fayez Sarraj, assieme all’inviato dell’Onu Martin Kobler e il suo consigliere militare, il generale italiano Paolo Serra. «Presto prenderemo Roma», ci aveva detto in diretta lo stesso aspirante «martire» di Isis. Ora è uno dei vice di Nuah (chiede che il suo nome non venga pubblicato) a ribadirlo, aggiungendo nuovi dettagli fondamentali raccolti dal materiale che arriva da Sirte. Elemento questo che il Corriere della Sera è in grado di confermare direttamente sul campo. Ben due milizie, una di Tripoli e una di Misurata, con cui siamo stati negli ultimi giorni a Sirte, annoverano infatti tra i loro ranghi alcuni uomini appositamente incaricati di cercare ogni tipo di documentazione sui campi di battaglia che possa essere utile all’intelligence centrale. Li abbiamo visti rovistare tra le ville appena conquistate nel quartiere di «ain dollar», nei saloni dello Ouagadougou e negli uffici dell’ospedale Ibn Sina. Qui, in particolare, la stanza del direttore pare fosse utilizzata dai capi locali di Isis. Lo testimoniano le bandiere nere e motti islamici inneggianti alla guerra santa ancora appesi alle pareti e alla porta, oltre alle pile di materiale propagandistico. «A Tripoli stiamo mandando anche i computer trovati negli uffici di Isis, potrebbero essere importanti», ci dicono gli uomini di Misurata.

Sono tutte notizie che trasformano lo slogan scritto sui muri presso il porto di Sirte, «Da qui, con l’aiuto di Allah, approderemo a Roma», da motto propagandistico a minaccia molto reale e immanente. Gran parte del materiale raccolto dalle brigate in avanzata testimonia delle lezioni di catechismo della jihad del Califfato locale, raccoglie motti inneggianti al «martirio», è mirato a creare proseliti tra i giovani abitanti della regione che una volta era più tenacemente legata a Muammar Gheddafi. Alcuni quaderni contengono istruzioni sulla costruzione di rudimentali esplosivi con le semplici materie prime ancora disponibili sui mercati di Sirte sempre più devastata e assediata. Oltre a consigli sulla lavorazione in bombe letali dei prodotti chimici per l’agricoltura, l’utilizzo delle batterie delle auto per i detonatori. Ma a Tripoli cercano soprattutto nomi e contatti degli agenti più pericolosi di Isis sparsi in piccole cellule sul territorio nazionale — specie Sabrata, l’oasi di Sabah in pieno deserto, Kufrah, Bengasi e alcuni quartieri della capitale. «A voi italiani interesserebbe parecchio avere notizie su Al Muaz Ben Adelkader al Fizani, meglio noto come Abu Nasim. Un soggetto pericolosissimo, che ha vissuto a Milano, da qui viaggiava nel resto dell’Europa, e pochi mesi fa stava a Sirte», aggiungono al Mukabarrat. Qui ci hanno fatto parlare a lungo con il 34enne Atef al Duwadi, tunisino di Biserta, sospettato di essere tra gli architetti dell’attentato al museo del Bardo a Tunisi l’anno scorso. Oggi al Duwadi — a detta degli 007 di Tripoli — ammette apertamente di essere uno dei capi della colonna tunisina di Isis. «La sconfitta di Isis a Sirte li spinge a riaprire l’ipotesi di spostare il loro centro operativo del nord Africa e Mediterraneo meridionale a Ben Gardane, in Tunisia, presso il confine con la Libia. I loro dirigenti sono divisi, hanno anche litigato. Al Duwadi è un grande sostenitore di questa opzione tunisina, contro quella libica. Lo abbiamo catturato a Sabah, dopo che era uscito da Sirte sulla via di Ben Gardane. Il suo amico Abu Nasim, che ha un passaporto inglese falso, invece è riuscito a fuggire in Sudan e forse in Nigeria, dove è aiutato da Boko Haram», ci dicono. Con un dettaglio ancora più prezioso per gli inquirenti romani. Abu Nasim sarebbe stato in contatto con il gruppo a metà strada tra terrorismo e criminalità che ha rapito i quattro tecnici italiani della Bonatti un anno fa. Due di loro sono poi stati uccisi durante la liberazione questa primavera. «Noi siamo sulle sue tracce», aggiungono a Tripoli. «Abbiamo catturato sua moglie a Sabrata, aveva in tasca oltre 500.000 euro in contanti. Ma se non c’è cooperazione tra noi e le polizie europee, i nostri sforzi saranno vani».