ROMA Chiudere in fretta la trattativa per evitare un possibile passaggio di mano. È questa, a poche ore dal sequestro dei due tecnici italiani in Libia, la missione dell’intelligence. Perché nella zona di Ghat, dove sono stati rapiti i dipendenti della società «Con.I.Cos.» Bruno Cacace, 56 anni, e Danilo Calonego, 68, non risulta la presenza di fondamentalisti né tantomeno di gruppi collegati all’Isis. Ma nessuno può escluderlo e dunque l’obiettivo primario è quello di stringere i tempi, mostrando disponibilità a soddisfare ogni richiesta. Le due piste La prima pista esplorata per tentare di arrivare ai carcerieri è quella delle tribù locali. Una banda di predoni che potrebbero essere stati attratti dalla possibilità di ottenere velocemente un riscatto. Ecco perché — se questa si rivelerà la giusta matrice — si deve evitare che i due nostri connazionalidiventino merce di scambiocon i terroristi, anche tenendoconto che l’area è molto vicinaal confine algerino, ma anchea quello del Mali e del Niger, ele interferenze di gruppi più strutturati sono sempre possibili. Comprese quelle che portano alla famigerata organizzazione di Boko Haram. Ma soprattutto ricordando che la Libia è ancora un Paese nel caos dove il governo guidato da Fayez Serraj ha molti oppositori interni e detrattori esterni. E dunque l’Italia potrebbe essere diventata bersaglio proprio per l’appoggio fornito. È la seconda pista, quella «politica», ritenuta naturalmente più insidiosa. Perché potrebbe far ipotizzare appunto una «convergenza» con un gruppo fondamentalista, se non addirittura un patto già siglato che ha preso di mira i due italiani proprio per lanciare un messaggio a tutti gli occidentali presenti nel Paese e ritenuti «invasori». I «nuclei speciali» In Libia, già da diverse settimane, ci sono le unità speciali coordinate dalla presidenza del Consiglio che svolgono azione di supporto all’esecutivo, ma anche alle imprese che lì continuano a lavorare e fare affari. Sono i «nuclei» che certamente hanno fornito un aiuto strategico nella battaglia scatenata a Sirte dagli Stati Uniti per mandare via i soldati del Califfato. Questa presenza agevola la possibilità di aprire direttamente un canale di mediazione, senza essere costretti — come accaduto in altri casi — a dover contare sulla triangolazione con gli 007 di altri Paesi. La situazione non viene definita drammatica anche per l’ottimo rapporto che si è creato con il nuovo esecutivo — suggellato dalla decisione comunicata al Parlamento dai ministri di Esteri e Difesa Paolo Gentiloni e Roberta Pinotti — di inviare soldati e aiuti sanitari in missione umanitaria per l’allestimento di un ospedale militare da campo. Ma tutto ciò non basta a rassicurare chi in queste ore sta seguendo la vicenda. Perché, come già accaduto in passato, l’evoluzione di crisi di questo tipo può avere anche epiloghi inaspettati. Niente scorta Molti punti risultano ancora oscuri sia sulla dinamica del sequestro, sia rispetto al ruolo svolto dai due tecnici. Si sa che da tempo lavorano per l’azienda e a Ghat si occupavano della manutenzione dell’aeroporto. Ma ad un primo riscontro effettuato dalla Farnesina non risulta che si fossero registrati nel Paese. Né si comprende come mai, dopo i numerosi appelli affinché chi si trova in Libia si muova sempre con adeguate misure di sicurezza, fossero a bordo di un auto senza scorta, solo con l’autista. Dopo l’uccisione di Fausto Piano e Salvatore Failla, i dipendenti della Bonatti, rapiti nel luglio 2015 con i colleghi Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, erano state diramate disposizioni chiare a tutte le ditte presenti in Libia: scorta per tutti gli spostamenti e apparato di sicurezza su impianti e alloggi. Perché in questo caso ciò non è avvenuto? Un ulteriore mistero da chiarire.