Quando c’ era Lui e la Libia era la «riserva di caccia» degli italiani (pensiero d’ un nostro ministro degli Esteri), a baciare la pantofola andavano un po’ tutti. Mercanti e governanti, spioni e imbroglioni. La mattina di San Valentino 2007 a Tripoli comparve anche la Sampdoria. Col padrone della Samp che era un petroliere.

Con una punta della Samp, Saadi Gheddafi, tanto brocco quanto utile, che era il figlio del padrone del petrolio libico.

Con l’ ambasciatore italiano Francesco Paolo Trupiano che quel giorno pensava di cavarsela assistendo a una partitella amichevole, «non memorabile ma di buon auspicio per gli affari», e offrendo il solito ricevimento in residenza: non poteva sapere che affari di cuore covassero, in quella data degli innamorati.

Un mese e mezzo dopo, l’ ambasciatore è a cena quando gli arriva una convocazione urgente alla corte del Dittatore.

La solita sgridata sui danni dell’ era coloniale? Ma no: «Il Leader – ricorda Trupiano – è letteralmente furibondo per la situazione che s’ è venuta a creare con Saadi: situazione che ha causato anche la chiusura, poco tempo prima, dell’ ambasciata libica a Roma». È successo che Gheddafi jr si sia invaghito d’ una ragazza italiana, si sia chiuso in una villa di Portofino e non voglia più tornare in Libia da moglie e figli. «L’ Italia gli ha lavato il cervello!», strilla il Leader.

Che l’ ambasciatore italiano si dia da fare, dunque: chiedendo al premier Prodi e al ministro D’ Alema un intervento sul ragazzo, riferendo a Roma che il Colonnello è pronto anche a rompere le relazioni diplomatiche… Possono le ragioni del cuore prevalere sulla ragion di Stato? Giammai: la mattina dopo, Trupiano si presenta alla Farnesina. Sulle prime, D’ Alema «reagisce con aria quasi divertita». Poi ascolta meglio. S’ incupisce. Capisce che con Gheddafi non c’ è mai da scherzare.

E fa quel che uno come D’ Alema probabilmente detesta fare, il mediatore sentimentale, consegnando all’ ambasciatore un messaggio per Tripoli: «Sulla base dei personali rapporti d’ amicizia col Colonnello, il Ministro si ripromette d’ intervenire personalmente “come un padre” sul giovane, per indurlo a rientrare in Libia…». Genova bel suol d’ amore.

Esistesse davvero la scuola dei dittatori che immaginava Silone, a Trupiano dovrebbero conferire una cattedra. Perché le 580 pagine di diario che Sua Eccellenza dedica ai suoi 68 mesi tripolini ( Un ambasciatore nella Libia di Gheddafi , Greco&Greco) sono un master su come si teneva a bada colui che Reagan chiamava Cane Pazzo.

La matita blu su tutti gli errori che l’ Italia commise dal 2005 al 2010, prima d’ abbandonare il suo carissimo nemico. Chi fece peggio? Troppi ne ha visti e ne racconta, Trupiano, in una «società senza Stato» dove molti politici italiani giocavano a fare gli statisti e in realtà curavano interessi privatissimi:

«Ricordo perfino un ministro che venne solo per scattarsi una foto con Gheddafi. Peccato che abbia fatto nove ore d’ anticamera e non sia mai stato ricevuto…». Nel libro tutto è annotato e in fondo anche perdonato, perché i padroni di ieri sono ormai i dimenticati dell’ oggi e «ho voluto pubblicare questo diario – dice Trupiano – per gli storici che un giorno vorranno approfondire».

E allora, ecco il valzer d’ un Berlusconi che prima raccomandava «galleggiare, ambasciatore, bisogna galleggiare!» e poi però cedeva a intimidazioni e minacce, andava a «Matrix» e annunciava in tv la ripresa delle relazioni, rinunciando di colpo a decenni di rivendicazioni italiane:

«Il Cavaliere veniva in Libia anche due volte l’ anno. Personalmente, ritenni poco dignitoso quando disse di non aver chiamato Gheddafi, nel pieno della rivolta del 2011, perché “non voleva disturbarlo”: lui che era l’ unico a potergli parlare in ogni momento!…». E Prodi che si rivolgeva confidenziale al sanguinario dittatore con un irrituale «illustre e caro Leader»?

E Amato e D’ Alema, ministri, che insieme andavano in delegazione a Tripoli e poi esigevano – «bella manifestazione di compattezza governativa!» – di farsi ricevere separatamente sotto la tenda? E il ministro degli Esteri, Fini, che riuscì a non fare nemmeno una telefonata mentre il suo collega Calderoli («assurdo, irresponsabile, farneticante, goffo») andava al Tg1 a mostrare le vignette sataniche, provocando 11 morti a Bengasi e la peggiore delle crisi diplomatiche?

Trupiano si concede la diplomazia dell’ ex: «Di fronte al primo caso nella storia della Repubblica d’ un nostro consolato assaltato, incendiato, devastato e vilipeso – scrive – l’ Onorevole Ministro non ha mai avvertito la necessità in quei giorni di parlare almeno una volta col suo Ambasciatore sul posto…». Noi&Lui. E Lui, riconosce l’ autore, che certo esercitava su tutti un suo «fascino perverso». Si sa: anche a un padre della psicoanalisi come Carl Jung, stringendo la mano a Mussolini, capitò di lodarne il calore umano. Ma è tutto questo sufficiente a spiegare le gaffe, le umiliazioni, le furbate di quegli anni?

il colonnello gheddafi

Il libro racconta puntiglioso le trattative fallite di D’ Alema, i misteriosi viaggi di Cossiga, le lunghe e maleducate attese riservate alle più alte cariche dello Stato, l’ umiliante mostra propagandistica sui crimini di guerra italiani inflitta a un Lamberto Dini in visita (costretto pure a complimentarsi pubblicamente per «l’ attenta ricerca storica»…), le imbarazzanti trasferte-baraccone a Roma con le tende e le amazzoni, i nostri ministri che cenavano privatamente col potente capo dei loro servizi segreti, le interviste al Colonnello in ginocchio e senza contraddittorio, l’ incredibile scelta di rinominare ministro Calderoli dopo la strage di Bengasi…

«La Libia resta una priorità assoluta della nostra politica estera», spiega Trupiano, e forse certi amari calici andavano bevuti. Qualche limite però non avrebbe guastato: «Un filo conduttore del mio libro è che tutti i governi italiani han sempre cercato un accordo per superare il passato coloniale. Qualcuno, come Berlusconi, l’ ha anche raggiunto.

Ma i costi economici e politici sono stati elevatissimi, e non so quanto convenienti per noi. L’ idea di costruirgli l’ autostrada Tunisi-Tripoli-Cairo, ad esempio: uscì da un incontro del 2001 sui danni di guerra. Il ministro Renato Ruggiero chiuse la conversazione dicendo “e va bene, ve la costruiamo!…”. Fu poco più d’ una battuta. Un lapsus da stanchezza. Ma Gheddafi fu abilissimo a prendere la cosa molto sul serio. A vincolarci a un accordo. E a imporci di pagare 250 milioni l’ anno per vent’ anni…». Non fummo certo i soli.

Le memorie di Trupiano citano anche «lo sfacciato» Sarkozy che abbracciava e coccolava il Dittatore, usando come ambasciatrice personale perfino la moglie Cecilia: proprio lui che per primo avrebbe bombardato Tripoli! O gli americani che misero da parte trent’ anni d’ embarghi, per prendersi poi Gheddafi come alleato nella lotta al terrore: proprio lui che aveva fatto esplodere l’ aereo di Lockerbie! I gheddafologi dell’ epoca erano come i cremlinologi anni Ottanta, dice l’ ambasciatore: costretti a brancolare nella follia d’ un despota, spesso sbagliando previsioni.

Per i libiologi di oggi non è che le cose vadano meglio: «Si criticava tanto l’ accordo che facemmo sui barconi dei migranti. Ma siamo passati dai 36 mila l’ anno d’ allora ai 36 mila al mese di oggi: ne valeva la pena? L’ unico che ci ha capito qualcosa è stato Papa Bergoglio: prima c’ era un solo Gheddafi, ha detto una volta, ora l’ abbiamo cacciato e il risultato è che ne abbiamo cinquanta».