Un gruppo di miliziani vicini all’ex primo ministro del vecchio “governo di salvezza nazionale” di Khalifa Ghwell ha provato ad entrare in alcuni uffici della Difesa, dell’Economia e della Giustizia

A POCHE ore dalla riapertura dell’ambasciata d’Italia a Tripoli e dall’arrivo dell’ambasciatore Giuseppe Perrone, in Libia due eventi lanciano segnali preoccupanti sul percorso di pace del paese. Il più grave è quello rappresentato dalle incursioni militari che sono avvenute a Tripoli. Un gruppo di miliziani vicini all’ex primo ministro del vecchio “governo di salvezza nazionale” di Khalifa Ghwell ha provato ad entrare in alcuni uffici di 3 ministeri, quelli della Difesa, dell’Economia e della Giustizia.
Ghwell è l’ex primo ministro decaduto con l’insediamento del “Governo di accordo nazionale” sostenuto dall’Onu. L’uomo non aveva rinunciato a rivendicare per sé il potere, e nel mese di ottobre aveva tentato una specie di colpo di Stato, asserragliandosi con un gruppo di miliziani a lui fedeli nel centro congressi dell’Hotel Rixos. Nell’albergo aveva sede il Consiglio di Stato, una delle due Camere previste dalla nuova Costituzione libica.
In ottobre il premier “legale” Fayez Serraj aveva deciso di non scatenare una guerra civile a Tripoli per espugnare il Rixos, e per questo Ghwell è rimasto nella sua sede, difeso dai suoi miliziani ormai da un paio di mesi. Giovedì la decisione di compiere queste incursioni in alcuni uffici dei ministeri, una “scorribanda” che a fine serata non ha portato a nulla di definitivo, ma che conferma il caos politico e di sicurezza in cui vive la capitale. Non c’è stato un golpe, ma il governo Serraj non è in grado di controllare militarmente tutta Tripoli.   Fonti italiane segnalano che non c’è mai stato pericolo per i nostri diplomatici a Tripoli, e lo stesso ambasciatore Giuseppe Perrone ha gettato acqua sul fuoco: dichiarato: “Ridimensionerei molto perché Tripoli conosce sempre una situazione di sicurezza complessa, ci sono movimenti dei vari attori di sicurezza in città fuori o dentro i luoghi simbolici, spesso per dimostrare l’esistenza di una forza piuttosto che di un’altra. Su questo specifico caso bisogna dire che si tratta di edifici, più che di sedi del governo, perché poi le sedi del governo consegnate al Governo di accordo nazionale sono tutto tranne che quelle indicate da queste notizie”.   Per Perrone le operazioni dei miliziani di Ghwell sono state organizzate “più che altro per segnalare l’esistenza in vita di alcuni gruppi: a me sembra che la situazione qui in città sia normale, non mi risultano scontri di questo tipo” Il vero problema a questo punto è cosa deciderà di fare il governo Serraj, che ha il potente appoggio delle milizie armate di Misurata, ma che fino ad oggi ha provato ad evitare di far ripartire a Tripoli una nuova pagina di guerra civile.   Il secondo segnale preoccupante è quello lanciato dalla Russia di Vladimir Putin che ha deciso di far salire a bordo della sua portaerei il generale Khalifa Haftar. L’uomo è l’ex ufficiale gheddafiano che guida l’esercito nell’Est della Libia e sostiene il governo di Tobruk (non riconosciuto dall’Onu). Ieri ha visitato la portaerei russa “Ammiraglio Kuznetsov” che transitava al largo della Cirenaica dopo aver partecipato alla campagna di bombardamenti in Siria.   A bordo della Kuznetsov Haftar, è stato ricevuto dagli ammiragli comandanti, ha assistito ad alcuni decolli dal ponte della nave e poi si è collegato in video conferenza con il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu a Mosca. Con Haftar sulla portaerei c’erano i comandanti dell’esercito e dell’aviazione di Tobruk, i generali Abdul Razzak Al-Nazhuri e Saqr Adam Geroushi.   Nulla di particolarmente eclatante, se non che da mesi l’unico governo riconosciuto dall’Onu (e quindi anche dal Consiglio di sicurezza di cui fa parte la Russia) è quello del Consiglio presidenziale di Tripoli. Ma il generale Haftar da mesi ha messo in piedi una campagna per delegittimare il governo di Tripoli, arrivando in alcuni casi ad attaccare con la sua milizia le forze schierate con Serraj (la scorsa settimana un attacco aereo contro un C 130 di Misurata ha ferito seriamente il portavoce militare della città).   La mossa di Mosca getta una luce pericolosa sulla possibilità di riportare Haftar al negoziato con Tripoli: da mesi il governo di Fayez Serraj ha aperto alla trattativa con Haftar e con la cirenaica, ma il generale vuole per sé il ruolo di leader di un futuro esercito libico riunificato, senza sottostare al potere politico. Mentre il governo Serraj prevede che i comandi militari siano sottoposti al controllo dell’autorità politica.   La visita sulla Kuznetsov arriva a poche ore dall’apertura dell’ambasciata d’Italia a Tripoli, un segnale uguale e contrario di sostegno di Roma (e dell’Unione Europea) al governo di Serraj; di fatto le fazioni libiche invece di riavvicinarsi danno segno della capacità di trovare sponsor diversi fra le potenze regionali e fra le stesse superpotenze, con la vistosa assenza di una chiara linea da parte degli Stati Uniti.   Già nel novembre scorso Haftar era stato in visita a Mosca, dove eera stato ricevuto dal ministro degli Esteri Lavrov e da quello della Difesa Shogun. La Russia, dopo aver consolidato la posizione del presidente Assad in Siria, continua a lavorare per allargare la sua sfera di influenza in medio Oriente: Haftar è il “cavallo” su cui i russi puntano in Libia, anche in accordo con l’Egitto del generale Al Sisi, il vero sponsor locale del generale che era vicino a Gheddafi e negli Anni Ottanta fuggì negli Stati Uniti e visse per un decennio in Virginia, protetto dalla Cia. La Russia formalmente disconosce il consiglio presidenziale di Serraj a Tripoli, 
ma di fatto sta lavorando per portare Haftar alla guida del paese. Una manovra che secondo molti analisti sarà difficile, se no al costo di dividere il paese: Tripoli, Misurata e i gruppi e le milizie islamiste non accetteranno mai Haftar con i suoi sostenitori egiziani.