Con telefonini e Dna la polizia individua i due deceduti nell’esplosione. Avevano un terzo complice

SAREBBERO due militari di milizie schierate con il generale Khalifa Haftar gli attentatori che sabato sera sono morti a Tripoli provando a parcheggiare un’autobomba vicino all’ambasciata d’Italia. La notizia è stata resa nota dal responsabile delle inchieste della Procura della capitale libica, il giudice Sadiq al Soor, ed è stata comunicata all’ambasciatore d’Italia a Tripoli Giuseppe Perrone e ai funzionari della sicurezza che proteggono la sede diplomatica.   Il procuratore ha anche precisato che sabato sera a Tripoli vicino all’ambasciata c’era anche un terzo uomo coinvolto nell’attentato, che aveva il compito di raccogliere i due colleghi con una seconda auto dopo che l’autobomba fosse stata parcheggiata accanto all’edificio.   L’inchiesta è stata svolta rapidamente dai poliziotti della milizia “Rada” comandata da Abdel Rauf Karah che assicura la sicurezza a Tripoli e da quelli delle “Tripoli Revolutionaries Brigades” del maggiore Hitam Tajuri. Sia Rada che la brigata di Tajuri hanno chiaramente interesse ad incolpare gli uomini di Haftar di aver provato a colpire l’Italia. Ma secondo una fonte italiana “la mole e il tipo di dettagli che ci sono stati forniti indicano che l’inchiesta di polizia potrebbe essere assolutamente verosimile”. I poliziotti infatti hanno già passato agli italiani i nomi dei tre attentatori: la loro inchiesta è stata molto rapida perché dai telefonini dei morti carbonizzati sono riusciti a risalire alle identità degli uomini e ai contatti che avevano chiamato nelle ultime ore, fra cui il cellulare del terzo complice. I poliziotti – secondo la Procura di Tripoli – hanno anche fatto rapidamente i test del Dna ai due morti e ai membri delle loro famiglie, riuscendo a confermare l’identità dei cadaveri   I due attentatori uccisi nell’autobomba sono Milood Mazin e Hamza Abu Ajilah, mentre il terzo attentatore Omar Kabout secondo alcune fonti sarebbe ancora in fuga. Secondo una fonte della polizia libica invece il terzo uomo sarebbe già stato arrestato dagli uomini di Tajuri e presto potrebbe essere esibito alle televisioni, dopo essere stato adeguatamente interrogato.   Un portavoce della milizia “Rada” sostiene che Omar Kabout sarebbe un “senior commander” dell’Operazione Dignità nella Libia occidentale, ovvero un membro dell’alleanza militare che in Cirenaica è guidata dal generale Haftar ed è alleata con milizie presenti anche in Tripolitania. I due morti appartengono invece uno alla città di Zintan, e l’altro alla comunità dei Warshaffana, due gruppi schierati con Haftar e da mesi impegnati anche militarmente contro il governo del primo ministro Fayez Serraj a Tripoli.   Il procuratore di Tripoli ha anche confermato la ricostruzione secondo cui “i due uomini volevano parcheggiare l’auto vicino all’ambasciata, mentre il terzo li aspettava con un’altra auto: sono stati individuati dalla sicurezza, che li ha messi in fuga, e a poche centinaia di metri la loro auto è esplosa”. A questo punto la palla passa nel campo del governo italiano, che dovrà mettere in piedi una strategia per reagire a questo avvertimento anti-italiano: se le informazioni della polizia di Tripoli (che ripetiamo, ha interesse a screditare gli uomini di Haftar) verranno confermate, si apre un caso assai imbarazzante e delicatissimo. Da mesi le autorità di Tobruk hanno lanciato minacce all’Italia per la sua presenza in Libia, attaccando l’apertura dell’ospedale da campo a Misurata e la riapertura dell’ambasciata a Tripoli. I portavoce di Haftar sono arrivati a definire le operazioni italiane “nuovi atti di colonialismo dei nipotini di Mussolini”. Il mancato attentato confermerebbe che l’ostilità politica in Libia è pronta anche a trasformarsi in avvertimenti “mafiosi” o terroristici.