SalamFayyad aveva il sì degli altri 14 membri del Consiglio di sicurezza. L’ambasciatrice americana Nikki Haley ha accusato le Nazioni Unite di essere «state scorrettamente a favore dell’Autorità Palestinese a detrimento dei nostri alleati di Israele»

«Non vogliamo palestinesi». L’ambasciatrice americana Nikki Haley boccia la designazione di Salam Fayyad come inviato speciale Onu per la Libia. Un’uscita traumatica, inattesa. In un colpo solo gli Usa indeboliscono l’autorevolezza del Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, in carica da gennaio; spezzano l’unanimità raggiunta sul nome di Fayyad dai 15 membri del Consiglio di Sicurezza; complicano il già difficile negoziato tra le fazioni libiche.

Salam Fayyad, 64 anni, è un moderato. E’ stato primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese dal 2007 al 2013. Ha studiato alla Texas University di Austin, e ha vissuto quasi 20 anni negli Usa, lavorando alla Banca mondiale. Guterres l’aveva scelto al posto del tedesco Martin Kobler: un mediatore arabo in grado di parlare con tutti. Fino a giovedì 9 febbraio sembrava che la candidatura raccogliesse il necessario consenso dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia) e dei 10 a rotazione (tra cui l’Italia).

Ma la dichiarazione scritta di Haley, ex governatrice della South Carolina nominata da Trump, azzera tutto: «Siamo insoddisfatti. Per troppo tempo le Nazioni Unite sono state scorrettamente a favore dell’Autorità palestinese a detrimento dei nostri alleati di Israele». Washington «non riconosce uno “Stato” palestinese e non appoggia il segnale che questa nomina invierebbe» all’interno dell’Onu.

Le parole del portavoce di Guterres, che difende le «qualità» e le «competenze» di Fayyad sono inutili perché il governo americano ha altre priorità. Una di queste è Israele. Negli ultimi giorni Trump ha corretto la posizione sui nuovi insediamenti dei coloni nei Territori Occupati, osservando «che non sono un bene per la pace». Mercoledì 15 febbraio il premier israeliano Netanyahu sarà a Washington in cerca di rassicurazioni. Le parole di Haley sono una prima risposta. Le conseguenze sugli altri scacchieri sono pesanti. Quello che sconcerta le diplomazie occidentali è la noncuranza del nuovo corso americano sul dossier Libia. Fayyad avrebbe dovuto agganciare il generale Haftar, il padrone della Cirenaica, che non riconosce il governo di Tripoli, guidato da Fayez al Serraj. Haftar è appoggiato dal presidente egiziano Al Sisi e, in modo sempre più vistoso, da Putin. La Libia è da sei anni un Paese in armi e la situazione resta pericolosamente in bilico. L’idea di Guterres era allargare i margini di mediazione: uno sforzo condiviso dal governo italiano, il più attivo sul piano politico-diplomatico anche all’Onu.

Ora si dovrà ricominciare: vedremo se gli Usa vorranno proporre un’alternativa a Fayyad o se lasceranno spazio alle manovre della Russia in Libia, così come sembra avere intenzione di fare in Siria.