Al Viminale i rappresentanti di 60 clan: mediata dall’Italia l’intesa per piani di sviluppo e controllo dei confini
Il negoziato è andato avanti per oltre due giorni. E alla fine, grazie alla mediazione italiana, l’«accordo di pace» tra le tribù libiche da anni in guerra tra di loro, è stato siglato. È un passo fondamentale per la pacificazione dello Stato africano, ma soprattutto per il controllo dei confini meridionali e dunque per frenare i flussi migratori dall’area subsahariana. Non a caso a gestire la mediazione è stato il ministro dell’Interno Marco Minniti che ha riunito al Viminale i rappresentanti di oltre sessanta clan. Intorno al tavolo c’erano i leader degli Awlad Suleiman, dei Tebu e dei Tuareg, ma anche il vicepresidente libico Kajman, in rappresentanza del governo di Tripoli.
Sono dodici i punti dell’intesa e i principali riguardano «il contrasto ai traffici di esseri umani, ma anche al terrorismo jihadista e alla radicalizzazione». Perché, ha chiarito il titolare del Viminale nel corso delle riunioni, «in questo modo avremo un pattugliamento unificato del confine con Algeria, Niger, Ciad e la realizzazione di opportunità di sviluppo alternativo ai profitti delle attività illecite». Non a caso alle trattative, in rappresentanza del ministero degli Esteri, ha partecipato anche il segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, proprio a dimostrazione della volontà del nostro Paese di aiutare le popolazioni africane con progetti di sviluppo che convincano chi ha perso tutto a rimanere dove vive, consapevole di aver un’opportunità di vita.
Nel documento finale viene specificato che l’iniziativa italiana ha per scopo primario intervenire su una situazione che ha fatto nascere «un’economia basata sui traffici illeciti, che provoca centinaia di morti nel Mediterraneo, migliaia di disperati in cerca di una vita migliore, una spinta populista alla chiusura e la minaccia jihadista nel deserto». E mette nero su bianco l’impegno per pianificare «misure urgenti di sviluppo e di investimento umano così come di opportunità formative e professionali volte ad attrarre i giovani, allontanandoli dal loro unico mezzo di sopravvivenza – la criminalità – in modo che gli obiettivi di sicurezza possano essere soddisfatti senza bisogno di muri, armi e interventi stranieri».
In passato le varie tribù cooperavano tra loro, tanto che venivano celebrati matrimoni misti. La guerra è cominciata dopo la caduta del regime del Colonnello Gheddafi ed è stata segnata da oltre 400 morti. Una situazione di conflitto aggravata negli ultimi mesi, come è stato più volte sottolineato dagli analisti, dalla nascita di due governi diversi: quello di Tobruk, alleato con i Tebu, e quello di Tripoli sostenuto dai Tuareg. Anche per questo la comunità internazionale ha reagito positivamente all’accordo raggiunto grazie al ruolo italiano, nella convinzione che ciò serva a rafforzare proprio l’esecutivo guidato da Al Serraj e riconosciuto dall’Onu.