Se rappresenterà l’avvio di una fase nuova della diplomazia italiana nella crisi libica, la visita del ministro Alfano a Tripoli sarà stata un passo nella buona direzione. Andrà tuttavia sottratta all’episodico e sostenuta da altre iniziative coerenti in uno scenario in parte in evoluzione.

Lo indica il succedersi non scontato di incontri tra le parti libiche contrapposte, come quelli, mediati dall’Italia, tra le tribù del sud e tra i presidenti delle assemblee parlamentari di Tripoli e di Tobruk e quello di questi giorni tra il primo ministro Serraj e il generale Haftar, a regia soprattutto emiratina e in parte egiziana. Presto per concludere che portino a progressi duraturi per l’oggettiva difficoltà di conciliare attori davvero rappresentativi, ma importante che si siano svolti.

E c’è soprattutto un rinnovato attivismo dei protagonisti statuali della crisi . Normale che il nostro presidente del Consiglio abbia discusso di Libia con il presidente Trump nel loro recente incontro a Washington: da tempo gli americani confidano nel nostro giudizio su quel dossier e non sembrano aver mutato linea almeno finora. Nota, d’alatra parte, l’impazienza di francesi e britannici per una situazione libica ben lontana nel suo evolversi dal vagheggiato, facile riassetto strategico (e petrolifero) degli equilibri mediterranei e foriera viceversa di destabilizzanti flussi migratori e potenziali minacche jihadiste. Meno ovvio il riferimento del portavoce del Cremlino che tra i temi discussi dal presidente Putin e dalla cancelliera Merkel il 2 maggio a Sochi vi sarebbe stata anche la Libia: due interlocutori parsi dino adesso un po’ dietro le quinte su questo dossier. Puntuale a sua volta il tentativo di Tunisi di sminuire l’incontro Sarraj-Haftar, per riaffermare il primato della loro iniziativa nazionale.

Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Emirati, Egitto, altri Paei maghrebini e ora più apertamente Germania e Russia, per tacere di Qatar e Turchia mai disinteressati. Protagonisti vecchi e nuovi della crisi libica, il cui adoperarsi segnala una tendenza a gestirla in prevalenzaa da parte degli Stati- le “grandi Potenze” d’un tempo piuttosto che negli ambiti multilaterali. Occorre tenerne conto.

Sono chiare le motivazioni strategiche e gli interessi in gioco. La lotta al terrorismo jihadista che accomuna Stati Uniti e Russia, la stabilizzazione di un’area subsahariana ormai fuori controllo, i flussi migratori, il futuro dell’islam politico che si definisce anche per interposte fazioni libiche, il controllo delle risorse petrolifere e finanziarie, il futuro assetto istituzionale libico unitario, federale o diviso. La Libia non è solo confronto tra libici, usciti a stento da un cambio di regime drammatico e sanguinoso. Un filo rosso sembra accumunare, al di là delle prese di posizione pubbliche. molta parte di questa congerie di intenti e ambizioni: una considerazione per lo più settoriale delle problematiche libiche e una dose di indifferenza per il mantenimento in prospettiva di una Libia unita in nome di interessi di parte.

E l’Italia?Abbiamo sempre riaffermato sempre con coerenza la nostra visione complessiva di una Libia unita e stabilizzata, individuando nelle Nazioni Unite la fonte primaria di legittimità di ogni processo politico in quel Paese. Linea inizialmente inevitabile, ineccepibile sul piano della correttezza formale e tuttavia insufficiente dinora, alla prova dei fatti, a sviluppare un disegno condiviso e efficace.

Se il nostro interesse nazionale stride con il protrarsi di una situazione di stallo che si traduce in una partizione di fatto del Paese, rende problematico il controllo di coste e confini, lascia spazio a scoordinate iniziative individuali, potrebbe dunque rivelarsi presto inevitabile prendere atto di quella “logica degli Stati”, che sembra profilarsi in Libia come peraltro in altri contesti internazionali.

Proiettare stabilità ai propri confini, promuovendo gli obiettivi nazionali e temperando quelli altrui, è una prova di maturità alla quale semnbrano ormai sempre più destinate tutte le nazioni. Per noi, potrebbe significare un soprassalto di realismo e una forte, conseguente iniziativa politico-diplomatica per la crisi libica che vada oltre quanto realizzato dall’Onu e coinvolga, in Libia e fuori, chi può davvero influire.