Se il notoriamente schivo ministro Minniti sorride a 32 denti come avesse vinto alla lotteria e il bonario generale Haftar stringe la sua mano con la faccia di chi paga un grosso debito di gioco, è infatti perché la fisiognomica ha le sue leggi. E nemmeno forzando i comunicati comuni, che saranno certamente rispettosi delle rispettive sensibilità, si potrà nascondere che l’Italia segna un altro punto a suo favore nella complessa strategia che stadi spiegando sulla Libia.

Una strategia che non comincia certo ieri, e che non si limita ad una puntigliosa e coraggiosa – l’Italia è l’unico Paese occidentale a mantenere, avendovi inviato uno dei suoi migliori diplomatici, la propria ambasciata aperta – presenza in loco ,ma disegna una vera e propria strategia per il Nordafrica. Una strategia sinora vincente per due ragioni. La prima è che l’Italia legge bene i nessi di interdipendenza che qui attraversano le frontiere e di spongono i problemi più per questioni che per Stati. In questa regione particolarmente fragili.

 

Una fragilità che è parte della nostra analisi e dunque parte del disegno della soluzione da costruire, come dimostra il sostegno indefesso che in Libia l’Italia ha sinora mostrato alla formula del governo di unità nazionale e al processo di scrittura di una nuova Costituzione, finalmente licenziata il 29 luglio scorso dall’Assemblea Costituente provvisoria. Non è una cosa scontata, perché gli innumerevoli problemi di rappresentatività di questa Assemblea, e i colpi politici presi dall’Italia dal 2011 quando è stata isolata e “ricattata” dai propri alleati occidentali nell’approvare la caduta di Gheddafi, potevano giustificare stanchezze e incertezze. Invece esse non vi sono state, o sono state superate,in una rara concordia nazionale su questo relitto di interesse nazionale da potenza medio-grande che ha attraversato i governi e le compagini parlamentari. Questi nessi di interdipendenza hanno disegnato una strategia che ha sempre tenuto insieme il problema della fragilità degli Stati nordafricani, in particolare la Libia, con quello dei migranti che li attraversano. E hanno tematizzato la crisi libica come crisi “anche” regionale.

 

La giustezza di questo approccio lo si vede nell’incontro di ieri, che probabilmente non si sarebbe tenuto se per esempio l’Italia non avesse deciso di inviare di nuovo il proprio ambasciatore al Cairo, tutelando in questo modo efficacemente il nostro interesse nazionale. E promettendo pubblicamente di tenere insieme questa tutela con quella del nostro orgoglio nazionale, oltre che della Giustizia, così ferito dalla barbara uccisione del nostro innocente ricercatore Giulio Regeni. Del resto l’Egitto è il padrino e tutore di Khalifa Haftar e Minniti prima di incontrare Haftar è stato anche in Algeria. E nelle ore in cui si teneva l’incontro Minniti-Haftar, il ministro degli Esteri francese Le Drian incontrava il capo del Parlamento di Tobruk Ageilah Saleh, uno dei pochi che ha il potere di fare uscire subito dai binari il processo di approvazione della bozza di Costituzione della Libia appena licenziata a luglio. E lo stesso Le Drian aveva visitato Algeri, che così entra finalmente in modo aperto e politico nella partita libica, con un apporto che sarà sicuramente verso la stabilizzazione piuttosto che della frammentazione. Che l’Algeria non può permettersi, per i problemi interni di fragilità del proprio assetto istituzionale.

 

E ancora prima il ministro francese aveva incontrato il premier Serraj. Perché questa è la seconda ragione della forza politica, e sinora dei successi, della strategia italiana sulla Libia. E del fatto che mai, nemmeno nelle ore più buie, il nostro Paese ha sovrastimato la sua forza in quel Paese, che pure ci vede ancora come gli incontestati interlocutori per tutti i numerosi soggetti che caoticamente lo compongono. E perciò non ha mai teso a fare da solo, quanto piuttosto a fare diventare la sua strategia quella dell’Europa. I successi sui migranti, pur con i colpi bassi di veline su Regeni o su accordi “indecenti” con le milizie tribali libiche e la girandola di incontri attualmente in corso, dimostrano che ciò sta avvenendo. Come dimostrava già l’esito del recente mini-vertice Ue-Africa sui migranti che si è tenuto all’Eliseo qualche giorno fa. Tanto che la strategia di regionalizzare questo quadrante sta contagiando anche le tradizionalmente lente organizzazioni internazionali come per esempio la Nato, che è finalmente impegnata in un processo di istituzione di un hub per l’antiterrorismo con sede a Napoli. Il lavoro rimane dunque duro, e la strada ancora lunga. Ma, ora, è concesso qualche almeno temporaneo sorriso di soddisfazione.