ROMA. E’ il fermo immagine di uno snodo cruciale della partita che l’Italia gioca nel quadrante libico e della sfida diplomatica sull’ asse Roma-Parigi la stretta di mano a Bengasi tra il ministro dell’Interno Marco Minniti e il generale Khalifa Haftar, comandante della “Libyan National Army”, la milizia che controlla la parte orientale del Paese. Un incontro dell’inizio della settimana scorsa, durato tre ore e rimasto segreto per quasi dieci giorni, fino a quando non ne è stata data notizia dalla stampa libica. Due – riferisce a Repubblica una qualificata fonte di governo – i temi della discussione. Il primo: disinnescare l’escalation di violenza verbale che aveva accompagnato in agosto la nostra missione navale a Tripoli (con la minaccia da parte della milizia di Haftar di reagire con i missili alla violazione della sovranità). Il secondo e più importante: convincere Haftar che, pure nel solco di un rapporto privilegiato con il governo di Tripoli di Fajez al Serraj, l’Italia non immagina alcuna stabilizzazione della Libia che non passi per un accordo con il Generale e la sua milizia. Gli argomenti di Minniti – riferisce ancora la nostra fonte – avrebbero trovato
un Haftar non solo disponibile all’ ascolto, ma pronto a un’apertura di credito verso Roma, che si dovrebbe misurare in un impegno della milizia a contenere, lungo la fascia costiera e i 1.000 chilometri di frontiera con l’Egitto, i flussi migratori dal sud del continente africano. A maggior ragione ora che i rapporti tra Roma e il Cairo (cui Haftar è legato) hanno ritrovato la loro normalità diplomatica. Ma quella foto di Bengasi dice qualcosa di più. Soprattutto alla luce del fatto che, dopo Haftar, Minniti ha incontrato lunedì scorso ad Algeri il premier e il ministro dell’Interno algerini. Racconta che, a distanza di cinque settimane dal vertice del 23 luglio al castello di La Celle-saint-Cloud, quando il Presidente francese Emmanuel Macron aveva bene detto l’accordo per il cessate il fuoco tra Serraj e Haftar, l’Italia ritorna al centro della partita libica spegnendo il tentativo di Parigi di farsi protagonista dell’ultimo, decisivo tratto di strada, che dovrebbe
portare alla stabilizzazione della Libia: il voto nella primavera 2.018. Dopo il vertice di Parigi del 28 agosto con cui l’iniziativa solitaria di Macron era stata “diluita” consegnando a Italia, Spagna, Germania e Francia il compito di implementare il piano proposto dall’Italia per la stabilizzazione della Libia e il contenimento dei flussi migratori dall’Africa sub-sahariana (Niger e Ciad), Roma ora riprende anche a tessere il filo delle iniziative bilaterali.
Che, di fatto, la collocano come interlocutrice dei Paesi che fanno da perimetro, geografico e strategico, al governo di Tripoli. La Cirenaica di Haftar, l’Algeria, il Ciad, il Niger. E che confermano che per Palazzo Chigi il destino della Libia è in cima all’agenda della sicurezza nazionale. Per ragioni che hanno a che fare con i flussi migratori e con le fonti di approvvigionamento energetico. Quelle che animano la silenziosa sfida con Parigi.